martedì 3 dicembre 2013

Perché è così difficile?

C'è una retorica che aleggia sul mondo della scuola, che lamenta, probabilmente da sempre, la sua staticità e una apparentemente inevitabile incapacità nel modificarsi. I protagonisti, docenti e dirigenti su tutti, sembrano i proverbiali milioni di commissari tecnici nei giorni dei mondiali, tutti con la soluzione perfetta in tasca. Eppure, tutto resta così com'è.
Un primo livello del problema è, per così dire, psicologico. L'insegnante medio, si perdoni la semplificazione, è colto (checché se ne dica almeno una laurea l'ha presa) ed è abituato a lavorare in grande autonomia (con tutte le conseguenze anche negative del caso). E' abituato nel lavoro quotidiano, più di qualsiasi altro professionista, a prendere decisioni rapide, talvolta a modificare i suoi schemi in corso d'opera per adattarsi al suo piccolo uditorio di adolescenti. Difficile quindi è convincerlo ad accettare imposizioni dall'alto, specie se vengono da burocrati rappresentanti della mastodontica macchina ministeriale, e altrettanto difficile è vederlo alle prese con riflessioni "di sistema". A interpellare gli insegnanti insomma, approccio a parole seguito da tutti i ministri e dai politici in campagna elettorale (ultimo in ordine di tempo Renzi), si fa bella figura ma si rischia di trovarsi di fronte a tante idee quante sono le teste in campo, e spesso non di così ampio respiro. 
Altro livello del problema è quello amministrativo. Assistiamo qui al perpetrarsi di un altro luogo comune: quello dei ministri, di destra e di sinistra (e persino i tecnici!), incompetenti e animati dal comune disegno di distruggere la scuola. Così, senza ragione. Dall'altro lato invece si tuona contro l'azione sindacale, nemica di una fumosa idea di merito, dai connotati non facilmente identificabili. E' chiaro che chi non si accontenti di facili slogan deve andare un po' oltre. 
Nell'amministrazione scolastica, e prima ancora nel dibattito culturale sul tema, sono rimasti esclusi per anni elementi quali l'introduzione del digitale, attivato frettolosamente e goffamente negli ultimi anni, la revisione dei programmi, la formazione e il reclutamento dei docenti. Questioni cruciali e qualitativamente pregnanti quali il maestro unico e la revisione dei quadri orari negli anni scorsi, e la possibilità di uscire dalla scuola un anno prima oggi, non sono affrontate nell'ottica di obiettivi umani e sociali, ma nell'ambito della mera amministrazione: quanto si risparmia, quanti posti di lavoro si perdono. Tutta colpa di QUESTA politica e QUESTI sindacati? In effetti, visti i curriculum di alcuni...
E se invece il problema fosse più ampio? Se a fallire non fossero state le scelte di alcuni ma tutto il sistema? Se il problema fosse nell'idea stessa di una dialettica basata sui rapporti di forza? Siamo sicuri che da un modello in cui ministero e sindacati fanno periodicamente a cazzotti esca necessariamente la sintesi migliore, o piuttosto uscirà inevitabilmente un mercato delle vacche sul numero di assunzioni? 
E comunque nella tanto decantata (o discussa) concertazione ci sono assenze numerose e pesanti: gli studenti e le famiglie, i contribuenti che finanziano la baracca, chi studia per diventare docente con competenza e passione. Vogliamo farli sedere al tavolo? O vogliamo finalmente avere il coraggio di dare la responsabilità a qualcuno di decidere per il bene di tutti?



Nessun commento:

Posta un commento